Sei mesi di polemiche, ricorsi e controricorsi, il governatore dell'Abruzzo, Luciano D'Alfonso, annuncia che sceglie il Senato. L'ufficializzazione dovrebbe avvenire a breve. La questione della incompatibilità tra presidente della Regione e senatore, per il piddino D'Alfonso, si è trascinata, a mo' di telenovela, dallo scorso marzo fino alla delibera della Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato che la settimana passata lo ha invitato a decidere tra le due cariche. “Opto per il Senato – afferma D'Alfonso -. Ho atteso a lungo perché c'erano parecchie questioni amministrative da sistemare”. Quando si potrà tornare al voto in Abruzzo? “Tra novembre o dicembre”. Se D'Alfonso, sciolti i nodi, è pronto a fare le valigie, in Regione è zuffa per la legge elettorale che il Pd ha stranamente deciso ora di ritoccare. Ad aprire il fuoco incrociato è Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione. “Il Pd -dice – con il voto anticipato, consegnerà la Regione alla destra o ai M5S assecondando la fuga a Roma di un presidente ormai inviso ai cittadini e screditato. L'ultimo colpo di coda è la presentazione, in fretta e furia, da parte del capogruppo Sandro Mariani, di una proposta di modifica della legge elettorale. Cosa prevede questa sveltina? Innanzitutto - tuona Acerbo -l'innalzamento della soglia di sbarramento all'8% per le liste. Un presidente che da un pezzo avrebbe dovuto dimettersi e una maggioranza che dovrebbe occuparsi solo di ordinaria amministrazione si preparano a introdurre una soglia di sbarramento antidemocratica, che c'è solo in Molise e nella Turchia di Erdogan. Contro chi è rivolta questa modifica? Contro l'esordio di un quarto polo di sinistra, ambientalista, dei movimenti. Un golpe della maggioranza”, conclude. Non meno aspro il consigliere di Si, Leandro Bracco: “Che il Pd fosse alla canna del gas, - dice - pure gli ebeti lo avevano compreso. Ma che a quattro mesi dal voto si facesse promotore di radicali cambiamenti alla legge elettorale, in pochi potevano immaginarlo. L'articolo 14 comma 2 dello Statuto della Regione Abruzzo – prosegue - prevede che 'nei sei mesi antecedenti la scadenza della legislatura, il Consiglio non può adottare né modificare leggi in materia elettorale'. Quindi si tratterebbe di violazione. L'attuale norma – aggiunge - prevede la soglia del 4% per le liste che corrono da sole e il 2% per quelle che si presentano in coalizione. Il Partito democratico vorrebbe alzare la soglia delle liste indipendenti all'8% e di quelle coalizzate al 3%. E' evidente – sottolinea Bracco - che i 31 consiglieri che oggi sono in Regione debbano rappresentare una popolazione di oltre 1,3 milioni di abitanti per cui sarebbe insensato cancellare con un tratto di penna decine di migliaia di voti che oggi consentono anche alle forze minori di poter avere il loro rappresentante. Per non parlare poi della sentenza dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo datata 2005 (la numero 30386) che afferma che 'Se uno Stato modifica troppo spesso le regole elettorali fondamentali o se le modifica alla vigilia di un voto, si corre il rischio di compromettere il rispetto e la fiducia nelle garanzie di una libera elezione'”. Contro anche la Cgil e non ci sta neppure Articolo 1, che fa sapere: “Ancora una volta il Pd si è mosso in totale solitudine, senza alcun rispetto per le altre forze politiche. Appare evidente che quanto è successo a livello nazionale con le forzature del Rosatellum non abbia insegnato nulla”. Nella mischia pure la Lega che accusa Forza Italia di inciucio con il Pd e a cui Fi replica che “è necessario rivedere 'di poco' le soglie di accesso in consiglio regionale per evitare ingovernabilità”. 06 agosto 2018
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