Atessa. Gli fu impedito di andare in bagno e si fece la pipì addosso, Sevel condannata

Gli fu impedito di andare al bagno, in un momento di bisogno impellente, e si fece la pipì addosso. Il Tribunale di Lanciano (Ch), con sentenza emessa ieri dal giudice Cristina Di Stefano ha accolto il ricorso del lavoratore che "non è stato autorizzato all’abbandono della propria postazione" per recarsi alla toilette, condannando Sevel Spa di Atessa (Ch) a corrispondere un "giusto risarcimento del danno". Quella pipì negata, allo stabilimento del Ducato è costata alla fine 5mila euro, più la rivalutazione monetaria e le spese di giudizio, quantificate in 2.500 euro.

Erano le 16.45 del 7 febbraio 2017 e l'operaio, attualmente impiegato nella postazione di montaggio,  "avvertiva la necessità di recarsi ai servizi igienici - come è spiegato nella sentenza - . Azionava il dispositivo di chiamata-emergenza al fine di potersi allontanare dalla postazione di lavoro nel rispetto della procedura, ma nessun preposto, ossia team leader, si è recato nella sua postazione. Ha dunque azionato il dispositivo di chiamata- emergenza della postazione vicina, con esito negativo". Ha quindi chiesto ai team leader che si trovavano nei paraggi il permesso di potersi allontanare per andare ad urinare, "senza ottenere risposta positiva".

"Resisteva - viene aggiunto - per quanto possibile... Ma, giunto allo stremo, e non avendo alternativa alcuna, lasciava la postazione e correva verso i servizi igienici, non riuscendo ad evitare di minzionarsi nei pantaloni. Nonostante ciò riprendeva immediatamente il suo lavoro; chiedeva di potersi cambiare in infermeria, ma tale permesso gli veniva negato".  Il malcapitato riuscì a cambiarsi solo durante la pausa, alle 18, presso il cosiddetto "Box Ute", al cospetto di tutti i lavoratori vicini, donne comprese".  

All'epoca sono insorti i sindacati, in particolare l'Usb-Unione sindacale di base, che ha seguito tutta la faccenda. Il lavoratore si è affidato all’avvocato Diego Bracciale, e, in aula, è stato possibile "ricostruire i fatti - scrive in una nota l'Usb - grazie ad una assistenza legale attenta, oltre che per i diversi colleghi di lavoro che hanno deciso di testimoniare, avendo un ruolo importante per la ricostruzione dei fatti di questa triste vicenda".

Il giudice ha stabilito che Sevel "ha arrecato concreto e grave pregiudizio alla dignità personale del lavoratore nel luogo di lavoro, al suo onore e alla sua reputazione, indubbiamente derivante dall’imbarazzo di essere osservato dai colleghi con i pantaloni bagnati all'altezza dell'inguine per essersi minzionato addosso". Ha inoltre evidenziato che "altri danni risarcibili non sono in alcun modo ascrivibili alla Sevel per la risonanza mediatica che la storia ha avuto, frutto della scelta del lavoratore che ha ritenuto opportuno informare la stampa di quanto occorso". 

"Questo verdetto - commenta l'Usb - ha reso giustizia al lavoratore in questione, restituendogli  in parte la  dignità che rimane irrimediabilmente lesa, anche per le conseguenze e i danni che la vicenda ha inevitabilmente generato a livello morale e psicologico. Fabio Cocco, responsabile Lavoro Privato Usb Abruzzo, sottolinea: "Si tratta di un dipendente esemplare che, in 12 anni, non ha mai avuto richiami".

Sevel annuncia che farà ricorso in appello. Da Fca, da Torino, nessun commento in merito. 

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La foto dei lavoratori all'ingresso della Sevel è di Andrea Franco Colacioppo

 

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