Remo Rapino vince il Campiello. 'Lanciano commossa? Sì, ma non come quando andammo in serie B'

"Professore, Lanciano si è commossa...". "Sì, ma non come quando, con la nostra squadra di calcio, andammo in serie B...". 

Un po' "stordito" dall'eco mediatica, rincorso da giornali e tv, ma col solito humor all'inglese... Lo scrittore Remo Rapino è rientrato in città dopo la vittoria, il 6 settembre scorso, del 58esimo Premio Campiello, conquistato con l'ultimo romanzo, "Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio", edito da Minimum Fax di Roma.

Così c'è riuscito. Il cocciamatte Liborio, il fiommista, ha sedotto l'Italia. E l'ha fatto con i suoi 84 anni; con la ricerca affannosa, attraverso la sua faccia riflessa nello specchio, di un padre mai conosciuto, che se n'è "volato via come un uccello e s'è perso"; con quel suo cazzone di paese romantico e uguale e un po' imbruttito, dove l'esistenza gli si è srotolata nelle stagioni di un Novecento di immagini, macerie e reminiscenze; con quello slang "abbirrutato", a volte "arrognato" altre "sfarfallato", fatto di "balengaggini" e "cafonizia".

Liborio ha ammaliato, a sorpresa, prima la giuria presieduta da Paolo Mieli, e poi quella dei trecento lettori anonimi.  Ha  messo a braccetto critica e pubblico. Questo pensionato che "smircia di sguiscio" il mondo e lo racconta a modo proprio, è figlio della penna di Rapino, ex docente di storia e filosofia. Che dopo capolavori in versi, come "Terre rosse terre nere", ha scelto di cimentarsi anche nella narrativa. 

Proclamazione, l'altra sera, in piazza San Marco, a Venezia, davanti a 1.400 invitati, con una cerimonia condotta da Cristina Parodi e dedicata alla memoria di Philippe Daverio. "I rumors della vigilia - afferma Rapino - davano favoriti Francesco Guccini (arrivato quarto) e Patrizia Cavalli (classificatasi quinta). Non mi aspettavo quanto accaduto".

"La prima notte - fa presente - è andata tra flash dei fotografi e interviste. Travolto al momento della premiazione, mi sono sentito più spettatore in tutta quella confusione. Poi? Sono stati ondeggiamenti e sussulti nell'animo... Un vero e proprio regalo ho ricevuto. E' stato un viaggio, - sottolinea - come nella poesia 'Itaca' di Konstantinos Kavafis... "fertile in avventure e in esperienze" e "ricco dei tesori accumulati" per strada". La vittoria l'ha dedicata al padre Beniamino, nato, come Liborio, nel 1926 e morto nel 2010. "Avrei davvero voluto che ci fosse - riflette -. Mancava solo lui".

Liborio è una voce che, tramite se stessa, ripercorre un secolo di storia e lo fa da una periferia esistenziale, dando dignità agli ultimi della fila, agli emarginati. "Con la sua pazzia - rimarca l'autore - batte la paura del diverso e tenta di recuperare valori come la fratellanza, la solidarietà, l'accettazione dell'altro... La sua è una follia di cuore e sentimenti, come i folli shakespeariani, non è una follia criminale... Ogni follia - prosegue - è un'energia che abbiamo dentro, spesso insopprimibile, che se esplode può rovesciare i codici sociali dominanti, mettere in dubbio le nostre certezze". 

E' un libro "di porte aperte, che tende ad accogliere. E' un atto d'amore per l'umanità". Ed è un'esistenza mai rassegnata, quella di Liborio, costellata da battaglie, dal lavoro in fabbrica, dal manicomio, dal carcere, dalla solitudine della vecchiaia. E poi dalla guerra... "Così quello fu un altro giorno mio di festa, però pensavo che mica era una bella cosa che si faceva la festa per la guerra, che mi cuffilava come una cosa scema e che forse per questo era tutto uguale all’altra volta perché le guerre sono tutte sceme uguali e così quando si deve dire al popolo che ci sta da fare una guerra succedono sempre le stesse cose con le stesse persone che dicono sempre le stesse cose". 

Rapino ha lavorato molto, e soprattutto, sul linguaggio... "E' il resoconto di tante storie di mio padre. Le sue stesse parole le ho messe in bocca a Liborio. I libri vanno scritti con le voci degli altri, in un dialogo continuo", dichiara. E sottolinea: "Inventare storie è molto meno complicato che inventare un linguaggio. Io ho avuto difficoltà a trovare un codice di scrittura, una lingua. Liborio parla un italiano dialettizzato, meticciato, pieno di parole in chiaroscuro. E' un linguaggio fatto di sgrammaticature, volute. Quest'uomo, d'altronde, poteva scrivere la sua storia soltanto parlando in quel modo".

Complimenti da ogni dove per Rapino. "Anche da Guccini...". Dal sindaco di Lanciano, Mario Pupillo, che definisce il suo "uno straordinario caso letterario" e dal presidente della Regione, Marco Marsilio, che parla di "riconoscimento prestigioso capace di mettere in evidenza il senso della cultura che caratterizza il nostro popolo". E poi da mezzo Veneto... E dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia: "Liborio... - afferma - è una sorta di Forrest Gump della provincia abruzzese, una prova di bellezza della cultura italiana...".

Ma il viaggio, per Rapino che, con questo romanzo, è stato anche finalista al Premio Strega, continua. Perché è anche tra i finalisti del Premio Napoli e del Premio Sila. "Scine, vediamo che deve ancora succedere...", direbbe Liborio, mettendo da parte, per un momento, "nel blu dipinto di blu", persino il suo adorato epitaffio.

Serena Giannico

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