Chievo 1 - Pescara 0
La partita della vita. La gara del tutto per tutto. Il match da dentro o fuori. Tutte chiacchiere.
L'inettitudine. Lo schifo. Il disgusto. Questa è la realtà.
Sapete cosa dobbiamo pensare? Che per i protagonisti in campo, per i calciatori e lo staff tecnico, quella che per tutti è una partita di calcio, un gioco, un passatempo, un male incurabile o una semplice passione, per loro è un lavoro. Loro sono chiamati a lavorare nel settore dello sport cercando di raggiungere un obiettivo. E come per ogni impegno ci vogliono competenze, dedizione, cura, capacità, ma soprattutto non basta presentarsi sul posto di lavoro solamente con il corpo.
Nella partita più importante della stagione, il Pescara è arrivato al Bentegodi contro il Chievo come quello che sembra essere lì per caso. Un chiamato in causa senza motivo che non sente il bisogno di giustificare la sua presenza in campo.
L'idea di Andrea Sottil, allenatore alla sua terzultima partita in panchina al Pescara, era quella di scendere in campo senza giocarsela, senza lavorare. Il tecnico, che avrà vita breve nel capoluogo adriatico, sceglie la formula del non gioco, sperando che al Chievo potesse bastare un pari e sperando in un regalo da parte della dea bendata grazie ad eventuali risultati favorevoli dagli altri campi. E la fortuna, alla fine del primo tempo, sembrava essere tutta dalla parte dei biancazzurri perché i risultati delle formazioni di bassa classifica aiutavano gli abruzzesi a non dover fare altro che attendere il passare dei minuti. Ma il Chievo, che era lì per provare a giustificare la sua presenza sul prato verde, una mezza intenzione di timbrare il cartellino l'aveva sempre avuta: come nelle migliori tragedie, quindi, a un minuto dal termine ecco la mazzata. 1-0 (Garritano) e Pescara nel baratro dei play out. Giustizia divina che premia il meritevole e sotterra chi pensa di fare il furbetto. Giustizia divina che premia chi deve essere premiato e disprezza chi neanche prova a fare un tentativo.
La partita della vita, si è capito sin da subito, non sarebbe stata tale per i protagonisti, ma solo per i tifosi davanti agli schermi: i poveri illusi che continuano a dare credito alla maglia biancazzurra, attualmente infangata da elementi non meritevoli, sono le vere e soprattutto le uniche parti lese in questa triste storia.
Tutti gli altri, più o meno indistintamente, sono colpevoli e devono sentire addosso la pressione alla quale è sottoposto un normale lavoratore.
Sottil. Se dobbiamo discutere delle capacità mostrate dal tecnico nelle gare in panchina al Pescara, siamo costretti a mostrare il pollice verso. A Verona atteggiamento stile ameba da parte della squadra. Un tiro in porta nella partita: punizione da 30 metri di Galano che fa cico cico al portiere Semper. Colpa sua. Cambi sbagliati nel corso della ripresa: formazione imbottita di difensori per provare a fare un catenaccio che al Pescara non riuscirà mai. Non prova neanche la carta Clemenza, preferendo rinunciare a tutto per ottenere il nulla. Colpa sua. La sconfitta di ieri è colpa sua.
Fiorillo. Regge quanto può sfoderando un paratone poco prima di capitolare. Uno dei pochi a timbrare il cartellino della presenza.
Zappa. Se l'ordine è quello di distruggere, un esterno come lui soffre da morire. È infatti le sue migliori prestazioni arrivano nelle partite d'attacco e non di difesa. Personalmente gli cambierei ruolo facendolo diventare un attaccante.
Bettella. Falloso. Si vede che vorrebbe dire la sua, ma le gerarchie sono chiare: lui non può fare il bello e il cattivo tempo come altri.
Drudi. Il migliore lì dietro insieme a Fiorillo. Per lo meno respinge quasi tutti i palloni facendo quello che gli viene chiesto e nel Pescara di oggi basta per diventare una cima.
Del Grosso. Titolare per meriti suoi o per demeriti degli altri? Questo è ancora da verificare. Ma a 37 anni non si può fare l'esterno in serie B senza rischiare la C.
Scognamiglio. Subentrato nella ripresa va solo a fare numero lì in difesa, ma la sua presenza si nota più nel corso dell'intervallo che durante la gara. La sua canotta è illegale.
Busellato. Non avendo capito all'ultima giornata di campionato se il centrocampista sia più un uomo di quantità o di qualità, questo può significare solo che la sua utilità sia pari allo zero.
Palmiero. Arrivato a Pescara a cavallo, probabilmente se ne andrà a piedi, esattamente come la superbia.
Kastanos. Il cipriota si presenta come un bel primo di pesce, ma poi scopri che il ragù di mare è fatto con gli avanzi.
Crecco. Nella prossima puntata di “Chi l'ha visto” si parlerà del suo caso.
Memushaj. Una volta ci si aggrappava a lui. Una volta era un leader a centrocampo. Una volta.
Bruno. Entra per rompere e lo fa prendendo alla lettera le parole di Sottil. Però, più che i palloni, prende a calci altro. E pensare che porta sulle spalle il numero 5 appartenuto a Leo Junior. Al termine di questa sua ultima stagione col Pescara io ritirerei la maglia.
Galano. La sua trasformazione da Robben di Puglia a fantasma è stata tanto netta quanto rapida. Aspettiamo che ci mandi un segnale, magari nella prossima seduta spiritica contro il Perugia.
Maniero. Assente, ma usufruisce di una giustificazione firmata dal centrocampo biancazzurro in toto.
Borrelli. Più bruciato di una pasta frolla lasciata due giorni in cottura nel forno, è probabile che al termine del campionato avrà bisogno di andare in analisi. Si diceva un gran bene di lui, ma peccato che di un ragazzo di 20 anni si parli già al passato.
Discorso a parte per il presidente Sebastiani: quest'anno lui se l’è suonata, se l’è cantata, ha messo su una squadra carente, ha scelto 3 allenatori in scala peggiorativa (a proposito Zauri meriterebbe delle scuse pubbliche a piazza Salotto) e ha portato a termine il suo traghettare i tifosi lontano dallo stadio. Lo spareggio play out contro il Perugia è il giusto “premio” al termine di un'annata che gli dovrà insegnare qualcosa. Ma sappiamo tutti che nulla verrà recepito.
Fernando Errichi
@IRPRODUZIONE RISERVATA