Tragedia Rigopiano. Rose bianche nella neve e palloncini... 'Aspettando giustizia...'
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Circa 120mila tonnellate di neve, detriti e alberi che precipitano dal Monte Siella, alle 16.49 del 18 gennaio 2017, e inghiottono, in pochi attimi, l'Hotel Rigopiano di Farindola, sul versante pescarese del Gran Sasso.

Nell'albergo, un cinque stelle con spa per trattamenti terapeutici ed estetici, sono in 40: 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 dipendenti. La struttura è isolata: ci sono circa tre metri di neve sulla strada provinciale che impediscono l'accesso a valle. Impossibile spostarsi. E' tutto bloccato. L'arteria, che va dal resort al bivio Mirri, per 9,3 chilometri, è "impercorribile - spiegano le carte della magistratura - di fatto rendendo impossibile ai presenti nell'albergo di allontanarsi dallo stesso, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto". Ce ne sono diverse quel giorno, di 5.3 di magnitudo. Sono tutti pronti a partire, con solo le valigie da caricare in auto, ma resteranno lì, sotto la valanga che travolgerà il complesso turistico sotto la montagna. Moriranno in 29.

Inutile ogni richiesta si aiuto. Inutili le email inviate alle autorità dalla direzione. Inutili le decine di telefonate e di messaggi con cui, ad esempio il cameriere Gabriele D'Angelo, deceduto sotto le macerie, ha chiesto l'evacuazione dell'hote. Nessuno prende in considerazione l'allerta e la disperazione che giungono dall'hotel. Ed è dramma.

La commemorazione. Sono passati quattro anni e i familiari delle vittime si sono ritrovati, ancora una volta, sul luogo del disastro. Cerimonia privata, a causa delle restrizioni Covid. I presenti hanno percorso a piedi i circa 300 metri che separano la fontana di Rigopiano dal totem del resort, rimasto intatto. Rose bianche sulla neve e una preghiera per gli "angeli di Rigopiano", preceduta dall'alzabandiera con le note del "Silenzio". C'è stata la messa, celebrata dal parroco don Luca Di Domizio, e un coro ha intonato il brano "Signore delle cime" e poi volo in cielo di 29 palloncini, con lettura dei nomi delle vittime. 

Per loro si chiede giustizia. "Vogliamo con tutte le nostre forze evitare quello che sta succedendo a Viareggio e che la verità che abbiamo nel cuore sia quella processuale", dice Marco Foresta, che ha perso mamma Bianca e papà Tobia, e comprende la disperazione dei parenti delle vittime della strage di Viareggio, dopo la sentenza della Cassazione che giorni fa ha decretato la prescrizione dei reati sul disastro ferroviario. Identico è lo stato d'animo di Paola Ferretti, che da quattro anni piange il figlio, Emanuele Bonifazi: "Dal quel giorno la mia vita è cambiata: è sopravvivere per gli altri figli e per ottenere giustizia. Mi auguro che lo Stato abbia il coraggio, la civiltà, di punire veramente e severamente chi ha sbagliato. Il ministro della Giustizia lo scorso anno ci ha chiesto scusa pubblicamente a nome dello Stato, il presidente della Repubblica Mattarella ogni anno invia una corona il giorno della commemorazione, oltre a quella mandata per i funerali dei nostri angeli. Bene, personalmente li ringrazio, ma come mamma e come cittadina italiana non mi bastano più. Voglio i fatti, voglio giustizia".

Al fianco dei parenti, alla cerimonia il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio,  esprime "l'auspicio che non accada mai più" nulla di simile, promettendo che "nelle prossime settimane concluderemo il lunghissimo iter della Carta Valanghe, uno dei presupposti per evitare che sul territorio possano verificarsi disgrazie improvvise e imprevedibili". "Ogni anno per noi il 18 gennaio è una piaga che si riapre", afferma Loredana Lazzari, madre di Dino Di Michelangelo, il poliziotto morto con la moglie Marina Serraiocco sotto i resti dell'hotel sbriziolato.

Nei pressi del luogo della sciagura, in primavera sorgerà un monumento, un giardino della memoria, coem riferisce il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. 

Le inchieste. Il processo per accertare le responsabilità per quanto accaduto si trova ancora  nella fase dell'udienza preliminare. Ci sono in totale 30 imputati (29 persone e una società) e, riuniti in unico fascicolo, nelle mani del gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, ci sono l'inchiesta principale e quella sul depistaggio. La prossima udienza è fissata il 5 marzo. Il filone principale, che cerca di capire le cause del disastro, parla di "negligenza, imperizia e imprudenza, a tutti i livelli istituzionali". Gli imputati sono 25 e sono accusati, a vario titolo, di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione di atti d'ufficio, abuso d'atti d'ufficio. L'inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia tira in ballo Regione Abruzzo, Prefettura, Provincia di Pescara, Comune di Farindola. Sott'accusa l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, a cui è stato anche pignorato lo stipendio; il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, che ha perso un fratello nella tragedia; l'ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco e diversi dirigenti della Regione. Sono invece 18 le richieste di archiviazione: si tratta per la maggior parte di politici delle ultime tre giunte regionali. Tra questi ci sono i tre ex governatori dell'Abruzzo, Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi. I familiari delle vittime si sono però opposti alle richieste di archiviazione. 

Il secondo filone, nel quale si contestano la frode in processo penale e il depistaggio, è a carico di sette imputati, che all'epoca dei fatti lavoravano in Prefettura. Tra loro ci sono anche l'ex prefetto Provolo e Daniela Acquaviva, funzionaria salita alla ribalta delle cronache perché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella - che per primo lanciò l'allarme - rispose... "...La madre degli imbecilli è sempre incinta". L'accusa è di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017 alla squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere D'Angelo, al Centro coordinamento soccorsi. 18 genn. 2021

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