Non c'è stata rotazione tra i lavoratori durante la cassa integrazione e ora l'azienda è stata condannata a pagare al dipendente l'intera retribuzione a cui avrebbe avuto diritto se avesse regolarmente lavorato.
E' quanto deciso dal Tribunale di Chieti, in una sentenza del 16 giugno scorso, che ha accolto la richiesta D.F., lavoratore assistito dalla Fiom-Cgil di Chieti, attraverso l'avvocato Tommaso Troilo. La decisione riguarda la GGA Srl di Ortona (Ch), che produceva compressori, e che, dopo un periodo di difficoltà, qualche mese fa ha deciso di chiudere. La vicenda, durante la crisi, era approdata davanti al giudice che ha sostanzialmente ribadito che sì spetta al datore di lavoro stabilire chi va in cassa integrazione ma "tale potere non è incondizionato, ma sottoposto al limite di un rapporto di coerenza fra le scelte effettuate e le finalità specifiche cui è preordinata la cassa integrazione, con l’obbligo dell’osservanza dei principi di correttezza e buona fede".
"La normativa - ricorda Fiom - anche anteriormente alla legge 223 del '91, stabilisce il principio della rotazione dei lavoratori sospesi in mancanza di elementi ostativi. In giudizio le prove testimoniali hanno confermato che il ricorrente oltre ad avere lo stesso inquadramento, aveva le analoghe capacità professionali dei colleghi, pertanto la mancata applicazione del criterio di rotazione non trova giustificazione".
Per ciò deve avere gli stipendi di cui "avrebbe goduto durante tutto il periodo nel quale in modo arbitrario non gli è stato consentito il rientro in servizio, costringendolo alla percezione del solo trattamento di integrazione salariale. Si tratta di un'importante principio - rimarcano Mirco Rota, ufficio sindacale Fiom-Cgil nazionale e Andrea De Lutis, segreteria Fiom-Cgil Chieti -. Esprimiamo tutta la nostra soddisfazione per quanto deciso". 21 giu. 2022
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