Ventiquattro Comuni italiani, di cinque regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Sicilia e Piemonte) , presentano ricorso alla magistratura contro il Pitesai - Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, strumento volto ad individuare le zone “ove è consentito lo svolgimento di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale”.
Il Pitesai, il cui iter si è concluso con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'11 febbraio scorso, è stato impugnato, davanti al Tar del Lazio, dai Comuni di Alba Adriatica (Teramo), Atella (Potenza), Atena Lucana (Salerno), Baragiano (Potenza), Barile (Potenza), Buonabitacolo (Salerno), Carpignano Sesia (Novara), Lavello (Potenza), Lozzolo (Vercelli), Martinsicuro (Teramo), Maschito (Potenza), Montemilone (Potenza), Monte San Giacomo (Salerno), Montesano sulla Marcellana (Salerno), Noto (Siracusa), Padula (Salerno), Pineto (Teramo), Polla, (Salerno), Rionero in Vulture (Potenza), Ripacandida (Potenza), Sala Consilina (Salerno), Silvi (Teramo), Teggiano (Salerno), Venosa (Potenza).
I Comuni hanno proposto ricorso contro il ministero della Transizione ecologica (Mite), il ministero della Cultura e il ministero dello Sviluppo economico, e nei confronti della società Eni Spa. Essi chiedono "l'annullamento del Decreto del ministro della Transizione ecologica del 28 dicembre 2021, numero 548, e relativi allegati," con i quali si è proceduto all'“Approvazione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai)”; del Decreto del ministro della Transizione Ecologica, di concerto con il ministro della Cultura, del 29 settembre 2021, che definisce la procedura di Valutazione ambientale strategica del Pitesai; del parere della Commissione tecnica di Valutazione dell’impatto ambientale e del parere del ministero della Cultura del 23 settembre 2021 che sono serviti tutti all'approvazione del Piano delle aree. Il ricorso, depositato ieri, porta la firma dell’avvocato Paolo Colasante, del Foro di Roma, che l'ha preparato insieme al costituzionalista abruzzese Enzo Di Salvatore, autore anche dei quesiti del Referendum "no triv" del 2016. A organizzare l'iniziativa e unire i Comuni è stato il Coordinamento nazionale No Triv. Il ricorso si basa su quattro punti, per arrivare a chiedere ai giudici amministrativi l'annullamento del Pitesai e di tutti gli atti che hanno portato alla sua definizione.
Piano approvato fuori dai tempi consentiti. In base al decreto legge numero 135 del 2018, convertito nella legge numero 12 del 2019, il Pitesai avrebbe dovuto essere adottato entro il 30 settembre 2021. Invece esso reca la data del 28 dicembre 2021 ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo l'11 febbraio 2022, pertanto "è fuori termine". E' quanto rileva il ricorso, al Tar del Lazio, inoltrato ieri da 24 Comuni italiani contro il Piano delle aree del ministero della Transizione ecologica. "L'unico atto che il Mite ha adottato in tempo utile - si legge nel ricorso - è il Decreto Vas del 29 settembre 2021, numero 399. Rimane però inteso che l’adozione di tale atto non consente di ritenere soddisfatto il limite temporale imposto dalla legge, la quale richiedeva perentoriamente che l’iter procedimentale si chiudesse entro il 30 settembre 2021 e, anzi, sia consentito dire che – viste le ampie proroghe legislative di cui il Mite si è potuto giovare – esso ben avrebbe potuto in circa tre anni portare a compimento il Piano senza incorrere in un’evidente violazione del termine previsto dalla legge". Il Piano, quindi, rimarcano i Comuni, "deve essere dichiarato illegittimo".
Ignorato effetto cumulativo dei progetti. "Nonostante la lunga elaborazione del Piano, esso si appalesa problematico anche sotto altri profili, fra cui la mancata considerazione – in contrasto con la normativa e la giurisprudenza europee – degli effetti cumulativi dei progetti esistenti e di quelli che potranno essere richiesti". E' il secondo punto su cui si fonda il ricorso. "La pianificazione voluta dal legislatore - recita il documento - dovrebbe tener conto, in un’ottica complessiva, dei titoli minerari esistenti e di quelli per i quali sarà possibile presentare istanze per l’inizio delle attività". Tuttavia "nel far ciò, esso avrebbe dovuto considerare gli effetti cumulativi, come prescrive il diritto dell’Unione", nel senso che "avrebbe dovuto valutare se la sommatoria dei progetti esistenti e potenziali possa recare danno al bene ambientale". Ebbene, - si fa presente - "nel caso del Pitesai non vi è traccia alcuna di valutazioni circa gli effetti cumulativi dei progetti di ricerca e di coltivazione esistenti e potenziali", quindi ne "deriva che il provvedimento si pone in palese contrasto con il diritto dell’Unione europea". "La Corte di giustizia dell’Unione europea nella pronuncia del 13 gennaio 2022, - viene ricordato - proprio in relazione alla disciplina della ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in Italia, ha affermato chiaramente che in caso di aree contigue aperte alla ricerca, la valutazione ambientale deve considerare gli effetti cumulativi dei progetti". Viene poi citata la Costituzione nella quale è stata introdotta, l'8 febbraio scorso, "la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, tra i Principi fondamentali" e ha altresì "subordinato alla tutela ambientale la libertà di iniziativa economica". "Tali modifiche della Carta fondamentale - evidenziano i ricorrenti - non possono rimanere prive di effetti concreti".
Piano non definisce aree attività minerarie. "Il Pitesai non realizza l’obiettivo che gli era stato assegnato, che è quello “di individuare un quadro definito di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto a valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle stesse” ". E' un altro dei quattro punti su cui si poggia il ricorso. "Il quadro che deriva dall’adozione del Pitesai - viene puntualizzato - non è affatto quello di una pianificazione nazionale previamente e rigorosamente definita e in grado di guidare – con un certo grado di prevedibilità – la successiva attività sui singoli procedimenti per il rilascio dei titoli minerari. Non è – come invece la legge avrebbe voluto – un atto di pianificazione che va a definire “zone aperte” e “zone chiuse” alle attività minerarie con mappature chiare e senza relativizzazioni di sorta. E' piuttosto – come dichiara la stessa relazione illustrativa – un “atto di indirizzo generale al fine di guidare la gestione delle procedure”, in buona sostanza un vademecum o un documento recante linee guida per orientare" future decisioni; "ma non era questa la natura del documento prefigurato dalla legge. Un conto è l’atto di pianificazione, altro l’atto recante linee-guida".
Da Conferenza unificata intesa solo per gas. L'approvazione del Piano delle aree per la ricerca di idrocarburi prevede, da parte del ministero per la Transizione ecologica, "l'acquisizione dell’intesa" nella Conferenza unificata di Regioni ed enti locali. La Conferenza c'è stata il 16 aprile 2021 e nel verbale redatto "è stata sancita l’acquisizione dell’intesa", "subordinatamente alla garanzia che, nelle aree idonee definite dal Piano, il prosieguo delle attività connesse ai permessi di ricerca di idrocarburi si limitino esclusivamente al gas", e non al petrolio. "L’adesione del Mite alla condizione posta dalla Conferenza unificata - si evidenzia nel ricorso - è, per un verso, illegittima e, per altro verso, del tutto inutile". "Il decreto legge 135 del 2018, - viene ricordato - nel prevedere il Pitesai, dispone che esso abbia il compito di “individuare un quadro definito di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”, senza distinguere affatto fra idrocarburi liquidi e gassosi e, anzi, tutte le volte in cui si menzionano i permessi di ricerca di idrocarburi, essi si riferiscono espressamente a entrambe le tipologie, con ciò lasciando intendere come le due attività di ricerca non possano essere distinte e debbano essere unitariamente contemplate... Appare più che evidente – anzitutto dal punto di vista logico, prima ancora che giuridico – che i permessi di ricerca, rilasciati per condurre indagini volte al rinvenimento di idrocarburi, non possano" conoscere prima delle trivellazioni "il contenuto di quanto deve essere ancora cercato e, pertanto, non potranno mai essere accordati permessi per una sola tipologia di idrocarburi". Solo dopo gli scavi e all'atto del "rinvenimento di idrocarburi e solo allora – dopo la perforazione del pozzo esplorativo – si potrà sapere se si tratterà" di gas o petrolio. Ecco perché anche la legge 9 del 1991, nel disciplinare i permessi di ricerca, si riferisce indifferentemente a entrambe le tipologie di idrocarburi ed ecco quindi spiegato il motivo per cui la limitazione posta dal Pitesai non sia conforme, non solo alla base giuridica di quest’ultimo, ma anche alla fonte normativa che regola i permessi di ricerca".
No Triv: 'Territori vedono futuro minacciato'."Hanno aderito al ricorso non solo i territori sui quali insistono già importanti attività di trivellazione ma anche quelli che vedono il proprio futuro minacciato", spiega ad Abruzzolive.tv Enrico Gagliano, cofondatore del Coordinamento nazionale No Triv e docente universitario. "Dopo aver riscontrato carenze, incongruenze e illegittimità - prosegue - abbiamo cominciato a inondare i Comuni di mail e pec, con una campagna a tappeto. Quelli che hanno deciso di impugnare il Pitesai hanno dovuto adottare una delibera di Giunta prima di poter procedere. E' occorso un lungo lavoro". 12 apr. 2022
SERENA GIANNICO E FILIPPO MARFISI
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