"Il passaggio in Parlamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non ne modificherà l’impostazione, né i suoi numeri da capogiro: quale forza parlamentare oserà mettere in discussione un Piano di investimenti da 221,5 miliardi di euro?"
Così il Coordinamento nazionale "No triv" critica le scelte del Governo sul Recovery Plan. "Non è sufficiente - affermano in una nota gli ambientalisti - citare le parole chiave "transizione" 170 volte, "sostenibilità" 154 e "ambiente" 101, per fare del Piano lo strumento principe della transizione "utile”, la sola in grado di consentire di centrare gli obiettivi che ci siamo dati, in sede Ue, al 2030 e al 2050". Il documento "farcito di numeri, di tabelle e di qualche inglesismo di troppo, - viene evidenziato - racchiude in sé tutto quanto non è stato realizzato negli ultimi 30 anni: dalle "sempreverdi" riforme strutturali (pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza, ecc.) fino all’eliminazione delle disparità di genere e tra le generazioni, transitando per l’immancabile riequilibrio Nord-Sud. Un libro dei sogni, direbbe qualcuno. Più realisticamente, le 337 pagine racchiudono un Piano privo di ambizione per un Paese che rischia di perdere definitivamente l’opportunità storica di ricostruirsi e reinventarsi dopo la pandemia".
"Il Pnrr - vi è scritto - è un’occasione straordinaria per accelerare la transizione ecologica”. Ebbene, la transizione disegnata "è troppo lenta e segue traiettorie pasticciate e patteggiate, confacenti all’ideologia ed agli interessi dell’oil&gas". Se ci si sofferma su alcuni passaggi della Missione 2, ossia "Rivoluzione verde e transizione ecologica", "i numeri del Piano appaiono davvero poco convincenti. Ad esempio, l'aumento di energia rinnovabile proposto di 4,2 gigawatt non ci consente di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo Ue del 32% del consumo elettrico da fonti rinnovabili. Manca inoltre una strategia di uscita dalle fonti fossili al 2050, di fatto nascosta nello sgabuzzino di ambigui strumenti normativi precedenti e della roulette russa del Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) ancora da approvare". "Prendiamo il caso dei pompaggi nelle dighe, di cui il nostro Paese è ricco: nel Pnrr non è destinato loro neppure 1 euro", denunciano i "No triv". "Sono stati completamente ignorati: nessun cenno alla loro funzione di stoccaggio dell’energia e di riempimento dei “buchi” che si vengono a creare nella rete a causa dell’intermittenza delle rinnovabili. E’ una scelta miope e grave che può avere una motivazione soltanto: favorire le centrali turbogas ed i sussidi di cui godono (capacity market)".
"Di contro, - tuonano - un’eccessiva enfasi è posta sull’idrogeno, a cui sono destinati 3,19 miliardi di euro - molto di più di 1,78 miliardi di euro proposti per finanziare gli interventi per le aree del terremoto del 2009 e del 2016 - e che ben si sposa con l'approccio Ccs (Cattura del carbonio e stoccaggio), molto gradito a Eni e Snam. L’idrogeno è il “cavallo di Troia” piazzato dai soliti noti e dal Governo all’interno di un Piano che dovrebbe dettare l’agenda della “transizione verde”. La finestra temporale per giungere all’impiego dell’idrogeno verde nei settori petrolifero, chimico, siderurgico, ecc., è talmente ampia da consentire la transizione attraverso la produzione di forme tutt’altro che rinnovabili, come l’idrogeno grigio e poi quello blu, nelle numerose valli dell’idrogeno che sorgeranno in tutta Italia: Porto Marghera, Ravenna, Gela, Melfi, ecc... Si tratta di un artificio costoso ed insostenibile, per prolungare il ciclo di vita dei giacimenti di gas “tricolori". "La parola “clima” - prosegue il Coordinamento - è citata ben 77 volte, quasi a voler ricordare al lettore che il contrasto alla crisi climatica in atto ha rappresentato dall’inizio la preoccupazione centrale nella strutturazione del Piano: così non è". 26 apr. 2021
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