I clan della potente camorra napoletana si preoccupavano di far arrivare in carcere telefonini e droga. I primi servivano per tenere i contatti con l'esterno, e molto spesso per ordinare e commettere anche altri reati. Con gli stupefacenti, invece, i boss accrescevano il proprio potere.
E i rifornimenti avvenivano con droni gestiti da una sorta di "service" che aveva tariffe precise: mille euro per consegnare uno smartphone, 250 euro per un telefonino tradizionale abilitato per le sole chiamate vocali e 7.000 euro per mezzo chilo di hashish.
Con due distinte indagini, che hanno portato complessivamente all'esecuzione di 32 misure cautelari, la Procura di Napoli ha fatto luce sulla 'distribuzione' di droga e telefoni in 19 penitenziari, dalla Sicilia al Piemonte: Frosinone, Napoli - Secondigliano, Cosenza, Siracusa, Lanciano, Augusta, Catania, Terni, Rovigo, Caltanissetta, Roma-Rebibbia, Avellino, Trapani, Benevento, Melfi, Asti, Saluzzo, Viterbo e Sulmona. Due inchieste che sono state illustrate dal procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, alla presenza degli uomini della Polizia di Stato, del Nic della Polizia penitenziaria e del Ros dei carabinieri.
Le accuse, a vario titolo, sono di associazione di tipo mafioso, estorsioni, traffico di stupefacenti, detenzione di armi da fuoco ed accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti.
Il rifornimento avveniva, per lo più, con l'utilizzo di droni modificati, non solo per trasportare un peso maggiore a quello consentito, ma anche per bucare le flay zone, come quelle dove sono gli istituti di pena. E la regia dell'affare sarebbe stata della criminalità organizzata campana. Un fiume di denaro sarebbe così circolato.
Ma il fenomeno dell'uso di telefonini, ha sottolineato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, "c'è in tantissimi penitenziari italiani e potrebbe essere debellato con l'installazione di disturbatori di frequenze. Un jammer, un dissuasore per il segnale dei droni, costa 60mila euro. Si potrebbe partire con l’installazione di questo dispositivo nelle carceri più grandi, quanto meno dove c’è l’alta sicurezza, per contrastare il fenomeno in maniera radicale".
"Nelle carcere l’uso dei cellulari è una costante, i numeri parlano di una presenza di 100 telefonini per ogni struttura". E questo, anche in Abruzzo, è stato segnalato dalla polizia penitenziaria, decine di volte, soprattutto in riferimento alle carderi di Teramo e Lanciano.
Gli accertamenti, nell'inchiesta partenopea, sono stati avviati nell'aprile 2021 a seguito del rinvenimento di alcuni cellulari a Secondigliano, indagine per cui è stato delegato il nucleo investigativo centrale della Penitenziaria, entrando poi in convergenza con un’indagine svolta dalla Mobile di Frosinone e poi delegata alla Dia di Napoli. Il tutto trae origine da una sparatoria del 19 settembre 2021 all’interno del penitenziario di Frosinone.
Per Gratteri "avere i telefoni nelle carceri è estremamente pericoloso perché con essi si possono mandare messaggi di morte, si possono chiedere soldi e commettere tutti i reati possibili ed immaginabili ma soprattutto far capire all'esterno che loro, seppur detenuti, sono ancora attivi". Anche la distribuzione di stupefacenti finisce per far aumentare il carisma delle associazioni criminali di appartenenza.
Ai "service" sarebbero poi ricorsi vari clan del Napoletano. Sarebbe stato un esperto di 52 anni a "truccare" i droni: capaci di trasportare anche un'arma (dal peso, in media, di tre chili) ma anche di sorvolare aree solitamente interdette. 20 mar. 2024
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