Il "fallimento di un intero sistema": questo è stata la valanga che il 18 gennaio del 2017 si è abbattuta sull'Hotel Rigopiano, a Farindola (Pe), causando 29 morti. Un fallimento che ha generato una sofferenza così complessa che la pm Anna Benigni ne ha parlato, oggi, in tribunale, a Pescara, durante la requisitoria. Sostenendo che, per la Procura, proprio "il dolore che tutti hanno provato di fronte a questa tragedia è stato il motore di questo ufficio"; un dolore al quale, ha aggiunto, "vogliamo dare una risposta".
I volti di tutte le vittime della tragedia sono stati proiettati, sui monitor, in aula, e i loro nomi sono stati fatti uno ad uno. Una requisitoria andata avanti per circa cinque ore e nel tardo pomeriggio ha iniziato l'altro pm, Andrea Papalia, che concluderà domani. “La vicenda di Rigopiano - ha spiegato Benigni - è il frutto di gravi responsabilità ed omissioni, da parte di una classe dirigente impegnata a soddisfare appetiti imprenditoriali e attività clientelari, e protagonista di un malgoverno che ha posposto la sicurezza dei cittadini agli interessi economici". Indice puntato contro Comune, Provincia, Regione e Prefettura. "Se uno di questi enti si fosse attivato, si sarebbe evitato il dramma".
L'accusa non è stata affatto tenera, nel processo che vede alla sbarra 29 imputati, tra i quali l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo; l'ex presidente della Provincia Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, oltre alla società allora proprietaria dell'albergo. Secondo l'accusa sono le responsabilità sono soprattutto dei due principali enti coinvolti, il Comune di Farindola e la Provincia di Pescara. Il Comune - è la ricostruzione degli inquirenti - non attivò la Commissione valanghe e non mise in pratica il Piano emergenze e gli strumenti urbanistici preventivi, come la realizzazione delle barriere protettive antivalanghe. Ed inoltre, avrebbe dovuto attivarsi per sgomberare l'hotel subito dopo l'ordinanza di chiusura delle scuole, emessa il giorno prima della tragedia. Ed invece Lacchetta accompagnò, personalmente, gli ospiti nel resort fino alla sera del 17 gennaio.
La Provincia invece finisce nel mirino soprattutto per la 'strada trappola', i 9 chilometri che dal bivio in località Mirri portano fino all'hotel, in cui rimase bloccata per ore la colonna dei soccorsi: non monitorò le condizioni della strada. Poiché, se fosse stata libera dalla neve, gli ospiti e i lavoratori del resort avrebbero avuto la possibilità di lasciarlo dopo le scosse di terremoto. Inoltre, non provvide a sostituire la turbina rotta che avrebbe dovuto togliere la neve dalla sede stradale e non chiuse la via, con la conseguente dichiarazione di inagibilità dell'hotel, cosa che avrebbe imposto l'evacuazione.
Ad analizzare il comportamento della Regione Abruzzo è toccato, invece, a Papalia. Un comportamento, in particolare, relativo alla mancata realizzazione della Carta valanghe. "Fallimento è l'omessa pianificazione territoriale di una legge del 1992 - ha detto il pubblico ministero -. La Carta valanghe era un compito che spettava ai dirigenti della Regione Abruzzo ma quell'idea tempestiva e lungimirante è rimasta una buona intenzione senza risultati. Si è trattato di un ritardo inaccettabile". Ed è proprio da questo ritardo, ha concluso, "che si deve partire. Perché di questa responsabilità si deve rispondere penalmente". 23 nov. 2022
@RIPRODUZIONE VIETATA