In cinque a processo per truffa, per 10 milioni di euro, compiuta ai danni della Honda Italia Industrie Spa dal 2007 al 2012. E' approdata oggi dinanzi al giudice delle udienze preliminari di Lanciano (Ch), Marina Valente, la vicenda che, anni fa, ha portato al centro della ribalta l'azienda nipponica con gli allora suoi vertici, che furono decapitati. Il gup ha rinviato a giudizio, al 5 febbraio prossimo, il principale imputato Silvio Di Lorenzo, ex vice presidente Honda Italia e direttore dello stabilimento Honda di Atessa per circa 30 anni, l'unico a rispondere anche di rivelazione di segreto d'ufficio sui dati aziendali. A giudizio per una decina di truffe semplici vanno anche i figli di Di Lorenzo, Matteo Romolo e Francesco, e i manager di note aziende dell'indotto Honda che sono Pietro Rosica e Gabriele Domenico Scazzi.
Per ragioni di salute stralciate le posizioni di Giovanna Piera Maesa, moglie di Di Lorenzo, e Antonio Di Francesco i quali torneranno dinanzi ad altro gup il 10 dicembre.
E' caduta, per tutti, l'accusa di associazione per delinquere e, per ciò, esce dal procedimento un imprenditore che rispondeva solo di questo reato. Complessivamente sono otto le persone coinvolte. La Honda, parte civile, chiederà danni all'immagine per un milione di euro. Il risarcimento per la presunta truffa, pari a quasi 10 milioni di euro, viene invece avanzata nel procedimento in corso dinanzi al Tribunale delle Imprese dell'Aquila dove il caso è stato inizialmente denunciato, prima di giungere alla Procura di Lanciano per il penale.
Secondo le accuse del pm Francesco Carusi, Di Lorenzo prospettava inesistenti necessità di strategie aziendali e governance, a volte da lui create, per dirigere l'esecuzione di beni e servizi, anche senza contratto, con società create che facevano capo a lui tramite prestanome. La Honda avrebbe subito rilevanti danni per fatture, anche gonfiate, che non dovevano essere spese, per far conseguire al gruppo ingiusti profitti aggirando le procedure. Di Lorenzo ha sempre smentito tali accuse.
Nel proprio dossier la Honda ha additato Di Lorenzo, evidenziando di aver agito da "infedele amministratore causando ingiustificate e gravissime perdite alla società, attraverso un sistema di gestione che ha screditato gravemente l'azienda all’interno del gruppo Honda e all’esterno". Con i suoi pieni poteri Di Lorenzo si sarebbe aumentato stipendi e poi persino autoringraziato inviandosi e-mail.
29 ottobre 2018
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