Coronavirus. Impianti sciistici Alto Sangro. Allarme da Roccaraso: 'Si rischia il tracollo finanziario'

Doveva essere il momento del rilancio dell'economia della parte dell'Abruzzo che ruota attorno al turismo della montagna. Quello di Roccaraso e Rivisondoli, a 1.250 metri sugli Altopiani Maggiori, tra il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco nazionale della Majella, è il comprensorio più grande dell'Italia centro-meridionale.

Un bacino sciistico (Aremogna-Pizzalto-Monte Pratello) con 28 impianti di vario tipo, cinque cabinovie per circa cento chilometri di piste che, da sempre, è il punto di riferimento per gli appassionati degli sport invernali anche di Campania, Lazio e Puglia. Un bacino che ogni anno ospita oltre quattro milioni di turisti. Le condizioni c'erano tutte: oltre un metro di neve che avrebbe consentito di andare avanti fino a Pasqua e le richieste che continuano ad arrivare da ogni parte d'Italia.

Dopo aver perso la prima parte della stagione a causa delle restrizioni imposte per contrastare l'ulteriore diffusione del Covid-19, imprenditori, operatori turistici, albergatori e l'esercito degli oltre 1.500 che vivono con il turismo invernale, speravano nella riapertura annunciata per il 18 gennaio per salvare la stagione e porre le basi per una ripartenza. Invece la doccia fredda da parte del Comitato tecnico scientifico che ha indicato gli impianti di risalita come possibili luoghi di propagazione del virus. Da qui la decisione da parte del Governo di tenere chiusi i comprensori sciistici almeno ancora per un mese. Mentre le regioni dell'arco alpino possono guardare al futuro puntando su una stagione estiva di alto livello, la parte dell'Abruzzo che vive con la montagna, rischia il tracollo economico e sociale. Sindaci, imprenditori e operatori turistici lanciano l'allarme sulla grave situazione che va verso il default.

L'altalena del "si apre e non si apre" ha finito per rendere la situazione ancora più drammatica con imprenditori, albergatori e dipendenti stagionali che non sanno più a che santo votarsi. A parlare è il direttore degli impianti di risalita dell'Aremogna, Roberto Del Castello: "Siamo demoralizzati - dice - perché si continua a demonizzare la montagna nonostante, con grandi sacrifici economici, abbiamo fatto tutto quello che ci era stato detto, adottando un protocollo di sicurezza tra i più restringenti per evitare il rialzo della curva pandemica. Evidentemente - incalza - chi deve decidere ancora riesce a capire che non è la montagna che crea i contagi. Ogni giorno continuo a ricevere decine di telefonate di persone disperate che ci chiedono di poter lavorare, ma se non si riaprono gli impianti e le baite non possiamo fare nulla. Dobbiamo solo sperare che la pandemia rallenti la morsa in modo che il Governo possa essere un po' più lungimirante. Bisogna ricordare che ogni euro speso per l'acquisto dello ski pass - precisa il direttore - produce altri nove euro per l'indotto. Ciò significa che con gli impianti chiusi, al territorio vengono a mancare 27/30 miliardi e con i 3 miliardi stanziati per il settore  si riuscirà a fare ben poco. Siamo davanti un tracollo finanziario che provocherà tanto disastro sia nelle famiglie sia nella microimpresa. Fino ad oggi il Centro Abruzzo ha già perso il 60% di quello che era il preventivato e il crack è già stato fatto. Contiamo e speriamo che con la riapertura degli impianti prevista per il 15 di febbraio si possano limitare i danni - conclude Del Castello -. Anche perché c'è tanta voglia di sci e se le promesse saranno rispettate, l'ultimo mese e mezzo di stagione potrà garantire ossigeno vitale all'intera filiera".

Il sindaco di Roccaraso, Francesco Di Donato, chiede intanto immediati ristori. "La montagna sta pagando un duro prezzo - afferma -. Purtroppo le chiusure si stanno prolungando in un momento per noi fondamentale. Rispettiamo la situazione sanitaria e il pensiero va alle famiglie che hanno avuto morti in seguito alla pandemia. Ma siamo preoccupati perché bisogna tenere alta l'attenzione sulla montagna. Chiediamo ristori importanti, proporzionati ai mancati guadagni, per tutte le categorie, dai gestori degli impianti agli operatori turistici, dai commercianti ai mastri di sci, alle scuole, dai lavoratori stagionali ai piccoli imprenditori. La situazione è complicata e drammatica. Il mio è un appello alla Regione e al Governo - fa presente Di Donato - di mantenere alta l'attenzione non solo in questo periodo di crisi ma anche nel futuro. Abbiamo bisogno di aiuto e lo chiediamo con forza".

Per il presidente di Federturismo, Dario Colecchi, il principale problema è quello della liquidità: "A differenza dell'arco alpino abbiamo una stagione estiva che non è forte e che quindi non può aiutare a rimpinguare le casse. In molti casi si tratta di piccole e micro imprese che hanno attraversato un cambio generazionale e che hanno dei seri problemi di liquidità".

E Alessandro Amicone, presidente dell'associazione Roccaraso Futura, rincara: "Si permettono gli affollamenti nei centri commerciali e nello stesso tempo si impedisce di potere sciare dimenticando che questo è uno sport all'aria aperta. Ad esempio per tutelare la salute basterebbe adottare lo stesso protocollo di sicurezza in vigore ad Aspen in Colorado. Tenere chiusi gli impianti del nostro comprensorio – ribadisce -  significa togliere la speranza a centinaia di lavoratori e alle loro famiglie, non solo del comparto sciistico, ma anche della ristorazione, del settore alberghiero e di tutto l'indotto".  22 genn. 2021

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